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Kombucha

  • Immagine del redattore: iveta-semetkova
    iveta-semetkova
  • 3 gen 2019
  • Tempo di lettura: 7 min


Oggi ho deciso di scriverne per delle ottime ragioni: il kombucha fatto in casa è buonissimo - soprattutto in estate è un gran piacere averlo a portata di mano. Inoltre sono convinta che, in quanto alimento "vivo" ricco di miliardi di fermenti diversi, il kombucha non possa non contribuire alla nostra salute, non tanto come "medicina" specifica per questo o quel disturbo, ma in un orizzonte di cura e benessere più ampio.

Ma esattamente che cosa è questo kombucha?

Come si diceva, è una bevanda fermentata che si ottiene partendo da un’infusione di tè zuccherata a cui si aggiunge l’ “agente fermentante”: in questo caso una “madre” di kombucha, ovvero un comunità di microrganismi che formano la SCOBY (acronimo inglese per Symbiotic Community of Bacteria and Yeast) specifica del kombucha.

I microrganismi consumano gli zuccheri disciolti nell’infusione e producono un insieme di sostanze che danno vita ad una bevanda acidula, frizzante e dal sapore inconfondibile.

Anche nel caso del kombucha, le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Abbiamo letto di una leggendaria origine mongola in cui si tira addirittura in ballo Gengis Khan, oppure che sia stato “inventato” dal medico del grande imperatore cinese Qin Shi Huangdi. Se ne trova traccia scritta in alcuni documenti cinesi del II secolo A.C., ma è probabile che il kombucha esistesse già da prima. Alla fine del XIX secolo è molto diffuso in un’ampia area geografica che va dalla Cina all’Ucraina. In quei luoghi è da sempre considerato una specie di “elisir di lunga vita”.

La “madre” si presenta come una specie di frittella gelatinosa e opalescente, il cui colore può andare dal bianco al brunastro. Galleggia in superficie e prende la forma del recipiente in cui la si mette. Vive in una soluzione di tè e zucchero e tende a moltiplicarsi costantemente. Poco a poco infatti un nuovo strato, fine e trasparente, si forma sopra la madre: è la “figlia” che potrà essere separata (per andare a fermentare altro tè) oppure lasciata dov’è (e ben presto si attaccherà alla madre per formare una frittella sempre più alta).


Nelle varie pubblicazioni scientifiche che ho consultato la madre di kombucha è definita come biofilm composto di cellulosa, batteri e lieviti.

Così come per i grani di kefir, anche ogni madre di kombucha è un organismo unico e irripetibile. Non solamente non è riproducibile in laboratorio, è anche sempre leggermente diversa da tutte le altre.

In generale però si può dire con sicurezza che in ogni madre sono presenti questi microrganismi:

Batteri del genere Acetobacter : batteri aerobi che nel corso della fermentazione producono l’acido acetico, l’acido gluconico e le sostanze per fare l’impalcatura di cellulosa. Batteri del genere Gluconacetobacter Kombuchae : batteri anaerobi, anche loro impegnati alla produzione delle sostanze per la loro “casa” di cellulosa. Batteri del genere Lactobacillus e Pediococcus (ma, per essere precisi, questi sono in numero molto inferiore rispetto agli altri e nemmeno sono sempre presenti) : batteri che producono acido lattico. Lieviti del genere Saccharomyces: aerobi e anaerobi, responsabili soprattutto della produzione di alcol. Lieviti del genere Brettanomyces: producono alcol e acido acetico. Lieviti del genere Zygosaccharomyces Kombuchaensis : producono alcol e anidride carbonica.

Con il variare della concentrazione di questi microrganismi, ma anche del tipo di tè e di zucchero usati, della qualità dell’acqua, dei tempi e dalla temperatura di fermentazione, si otterrà una bevanda sempre leggermente diversa.

Quando il kombucha è pronto (generalmente dopo 6-10 giorni di fermentazione, secondo la temperatura) le componenti costanti, oltre ai fermenti vivi, sono l’acido acetico, l’acido gluconico, enzimi, un residuo di fruttosio e una piccola percentuale di alcol, intorno all’1% o meno. In quantità variabile sono presenti anche altri acidi organici (glucuronico, citrico, malico, tartarico, ecc.) e vitamine del gruppo B. Col prolungarsi della fermentazione, fruttosio e alcol tendono a diminuire trasformandosi in acido acetico.

A questo punto il pH della bevanda sarà intorno a 2,5 - 3,0. Molte persone chiedono se il kombucha contiene caffeina. La risposta è sì, ma anche in questo caso i dati variano da campione a campione in relazione al tipo di tè usato e anche dal modo in cui si è svolta la fermentazione.

Ma per capire veramente di cosa si sta parlando, bisogna cominciare a produrre il proprio kombucha. Ecco la ricetta che noi seguiamo.

RICETTA

Kombucha

Ingredienti per un litro circa di kombucha

1 litro di acqua senza cloro

5 grammi circa di tè

70 grammi circa di zucchero di canna

1 madre di kombucha

100 ml circa di kombucha maturo (si può sostituire con un paio di cucchiai di aceto di mele)

PROCEDIMENTO

Fare il tè e, alla fine del periodo di infusione, filtrare e aggiungere lo zucchero.

Mettere il tè da parte per far scendere la sua temperatura sotto i 30°. A questo punto travasarlo in un contenitore con apertura larga. Aggiungere il kombucha maturo (o l’aceto di mele) e la madre.

Mettere un panno sopra l’apertura e fissarlo con un elastico in modo che non scivoli via. Riporre il contenitore in un luogo areato e al riparo dalla luce diretta del sole.

La fermentazione dura un periodo variabile che va dai 6 ai 10 giorni. Con temperature sotto i 17° C saranno necessari almeno 15 giorni. Al contrario, con temperature estremamente alte (come quelle delle estati fiorentine, spesso sopra i 35° C) può capitare di aver un kombucha pronto in soli 4 giorni. Cosa significa “pronto”? Anche in questo caso, la valutazione del “pronto” è del tutto soggettiva. In termini generali, si può dire che il kombucha è pronto quando non è più dolce e non sa più di tè. Secondo la nostra esperienza, 20° C è la temperatura ideale per ottenere un kombucha con il giusto grado di acidità, dall’aroma intenso e complesso.

Quando il kombucha è pronto, togliere la madre, ripulirla da eventuali tracce nerastre (si tratta di cellule morte) e rimetterla in una nuova infusione di tè.

Anziché berlo subito, conviene trasferire il kombucha in una bottiglia con un tappo che chiuda bene e lasciarla a temperatura ambiente per almeno 1 giorno (anche qui le indicazioni del tempo sono da mettere in relazione alla temperatura). Con questa seconda fermentazione si potrà sviluppare l’effervescenza che rende il kombucha ancora più godibile.

Anche il kombucha può essere aromatizzato durante la seconda fermentazione. La scelta degli aromi è senza limiti, anche se secondo noi il kombucha ha un carattere così deciso che spesso non si mescola bene ad altri sapori. Ultimamente abbiamo trovato un buon abbinamento con i fiori di ibisco (karkadè).

ACCORGIMENTI IMPORTANTI:

L’aggiunta di kombucha maturo alla nuova infusione da fermentare è molto importante perché contribuisce ad abbassare rapidamente il pH del liquido proteggendo in questo modo i microrganismi della madre.

Quando si trasferisce il kombucha nella bottiglia, è una buona idea aggiungere qualche uvetta che, risalendo in superficie, segnalerà quando la bevanda è diventata ben frizzante ma non ha ancora preso un sapore troppo “acetoso”.

Non agitate né mescolate il liquido durante la fermentazione. Più l’apertura del contenitore è larga più la fermentazione sarà rapida (il che non significa necessariamente migliore).

Non vi preoccupate se la vostra madre, anziché galleggiare in superficie, se ne sta di traverso: produrrà comunque del buon kombucha.

Più a lungo si tiene la madre nel liquido, minore sarà il residuo zuccherino e più acido sarà il gusto del vostro kombucha. Un kombucha fermentato troppo a lungo potrà sempre essere usato come aceto.

Dopo aver trasferito il kombucha nelle bottiglie, ricordate sempre di aprirle almeno una volta al giorno (anche se stanno in frigorifero) per evitare che all’interno si accumuli troppa pressione con il rischio che la bottiglia scoppi.

La madre si conserva facilmente per tempo indefinito. Può capitare di dover interrompere per un po’ di tempo la produzione di kombucha oppure di ritrovarsi con più madri di quelle che ci servono. In questi casi, le scoby in eccesso possono essere messe in un contenitore con del kombucha maturo: è lo scoby hotel! Lo lasceremo in qualche angolo tranquillo della casa, cioè a temperatura ambiente e coperto (ma non chiuso ermeticamente).


In un bicchiere di kombucha, insieme al piacere di berlo troverete diversi miliardi di microrganismi: quelli elencati sopra e anche altri non elencati (perché la loro presenza è variabile oppure perché non sono stati ancora identificati). Sono proprio i microrganismi (ma anche gli enzimi e alcuni acidi, in particolare il gluconico e il glucuronico) i maggiori “responsabili” degli effetti benefici attribuiti al kombucha.

Tanto per darvi un’idea, quello che troverete al riguardo, sia in testimonianze dirette che in articoli scientifici, va dal ristabilimento delle normali attività gastrointestinali al rafforzamento del sistema immunitario. Dalla disintossicazione dell’organismo al sostegno delle funzioni epatiche. Dalla prevenzione nei confronti di malattie degenerative del sistema nervoso alla riduzione di stati infiammatori vari. Ma anche maggiore resistenza contro il diabete e i tumori, riduzione della sindrome premestruale, modulazione dell’umore, riduzione dei dolori dovuti ad artrite, reumatismi e gotta. E per chi è già in perfetta salute, potrebbe essere interessante sapere che il kombucha dà una mano anche nel rallentare i processi di invecchiamento e nel fare capelli, pelle e unghie più belle.

Quali che siano le vostre opinioni sulle proprietà curative del kombucha, vi consigliamo di abituare gradualmente il vostro corpo a questa bevanda, cominciando con piccole dosi (non più di 1/2 bicchiere al giorno). Una moderazione da usare sempre quando si cominciano a mangiare e bere alimenti ricchi di fermenti vivi perché all’inizio potrebbero provocare disagi intestinali. Se tutto va bene, aumentate progressivamente le quantità — …. senza mai dimenticare che anche il cibo più sano perde le sue virtù se se ne mangia troppo e troppo spesso.

Se fate il kombucha e lo bevete da tempo, scriveteci e raccontateci la vostra esperienza. Fra i nostri progetti c’è anche quello di raccogliere e rendere disponibili le esperienze dirette delle persone. Ci piacerebbe costruire una specie di biblioteca di “scienza popolare” sui cibi fermentati, fuori dai laboratori ma affidabile e documentata.

Post scriptum

Ma si dice “il” kombucha” o “la” kombucha? Anche il sondaggio svolto durante il seminario con Sandor Katz non ha risolto la questione: le mani alzate si sono equamente divise fra il maschile e il femminile. Noi per il momento abbia risolto la questione in questo modo un po’ salomonico. Poiché l’ingrediente di partenza è il tè, diamo il maschile anche alla bevanda, quindi beviamo “il” kombucha. Riserviamo invece il femminile per la comunità di batteri e lieviti (scoby) con cui si fa la bevanda, in quanto la pensiamo come “la” madre del kombucha.


 
 
 

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