Dagli OGM agli NBT: cambia il nome ma non la sostanza
- iveta-semetkova
- 19 feb 2018
- Tempo di lettura: 6 min

Dopo la bufala Ogm, ci riprovano con una nuova sigla per ‘nuovi’ organismi manipolati che presto potrebbero arrivare
Soprattutto in Europa la definizione “Organismi Geneticamente Modificati” (OGM), malgrado i sistematici e ambigui tentativi dell’UE di dimostrare il contrario, ormai è diventata sinonimo di insuccesso commerciale. Anche in America, dove è stata inventata e messa a punto la tecnologia di inserire elementi estranei nel DNA (codice genetico) di un organismo vivente, molti produttori e consumatori cominciano ad essere diffidenti. Meglio, quindi, cambiare nome. Ora vengono definiti “New Breeding Techniques”, Nuove Tecniche di Riproduzione. Sono tecniche che permettono (in vitro) l’inserimento, nelle cellule delle piante, di sequenze genetiche o proteine di un transgene della stessa famiglia vegetale o di un transgene che ne alteri alcuni tratti, per poi essere eliminato. C’è poi anche la tecnica che permette di innestare su una pianta transgenica una pianta non transgenica. Sempre roba per ingegneri che non hanno mai visto, e usato, una zappa in vita loro.
LA CULTURA CHE C’È SOTTO: LORO FURBI, NATURA CRETINA
La noiosa filosofia che sostiene questi tentativi di modificare in laboratorio qualcosa che è mai avvenuto e mai avverrà spontaneamente nei campi coltivati, è sempre la stessa: la Natura ha una logica alquanto “deficiente” perché permette agli insetti di attaccare le nostre colture, ai batteri, ai funghi e ai virus di cibarsene a loro piacimento in condizioni meteo favorevoli, alle erbe spontanee di contrastare e competere con la loro crescita, ai frutti del raccolto di decomporsi dopo la maturazione. L’essere umano “intelligente”, invece, deve contrastare tutto ciò con un’ingegneria genetica capace di produrre semi e piante in grado di sviluppare, con l’ausilio dei prodotti chimici ad essi strutturalmente collegati, le necessarie difese da ogni tipo di problema. Cioè nuovi organismi non presenti in natura né ottenibili con criteri naturali. È la Natura che si deve adattare alle esigenze dell’uomo e non è più tollerabile che avvenga il contrario.
MANIPOLARE LE PAROLE
I fautori di questa nuova metodologia sostengono che non si può parlare di OGM, perché i segmenti genetici inseriti forzosamente nel DNA dei nuovi semi, sono compatibili con quelli che si trovano nelle ordinarie operazioni di incrocio genetico. Ci si avvicinerebbe in tal modo alla tecnica dell’ibridazione, che è la combinazione di materiale riproduttivo appartenente alla stessa specie per ottenere una nuova sottospecie: una tecnica “usata” dalla Natura per creare l’immensa biodiversità che oggi abbiamo a disposizione. Si tratterebbe quindi di imitare fenomeni naturali come la selezione, l’incrocio e l’abbinamento, con una metodologia più veloce e precisa rispetto alle tecniche convenzionali. Per questo motivo i nuovi organismi risultanti non dovrebbero essere sottoposti alla Direttiva europea sugli OGM (fortemente contrastata da molti Stati membri) e che impone di indicarne la presenza sulle etichette dei prodotti alimentari derivati. Non la pensano così i 61 esperti dell’Enssera Rete europea di scienziati per la responsabilità sociale e ambientale. Le cosiddette nuove tecniche di riproduzione NBT loro le definiscono “nuove tecniche di modificazione genetica (NGTM) e chiedono perciò all’Unione europea di disciplinarle “al livello delle più stringenti regole sugli Ogm”. Ha firmato il documentatissimo appello, anche il microbiologo di fama mondiale Arpad Pusztai. Convinto sostenitore degli Ogm, cambiò idea quando scoprì che la patata transgenica, spacciata come “equivalente” a quella naturale, danneggia lo sviluppo degli organi, il metabolismo e le funzioni immunitarie dei topolini.
ANCORA BREVETTI SULLA VITA
Resta il fatto che questi semi NBT saranno brevettabili, quindi bisognerà acquistarli dai titolari del brevetto e/o da chi dicono loro. Come per gli Ogm, vi sarà il rischio di una contaminazione dell’ambiente circostante a dove verranno coltivati: il polline degli NBT potrebbe interferire coi normali scambi che avvengono tramite gli insetti impollinatori finendo sui fiori di coltivazioni non NBT. L'impatto di questi super-prodotti creati in laboratorio può riguardare non solo le coltivazioni, soprattutto quelle che rendono tipici i nostri prodotti e caratteristica la nostra dieta mediterranea, ma anche la salute generale della popolazione: per tale motivo sarebbe opportuno indicare chiaro e tondo che si tratta di NBT sull'etichetta (dei semi e degli alimenti che ne derivano) per una piena tracciabilità. Cosa che le industrie sementiere interessate - le stesse che producono anche i prodotti chimici ausiliari - non si sognano minimamente di fare.
ITALIA, GOVERNO AMBIGUO
In tutto questo, neanche a dirlo, persiste una sostanziale ambiguità del nostro Paese sul tema, anche in riferimento a ciò che stanno facendo altri Stati dell’Unione Europea. La Francia, ad esempio, ha presentato ricorso presso la Corte di Giustizia dell’UE contro gli NBT: la sentenza dovrebbe essere emanata nei prossimi mesi e dovrà essere recepita sia dalla Commissione Europea (il suo parere è previsto entro il 30 marzo), sia dai Paesi membri. Come si può leggere in una apposita risposta scritta fornita lo scorso 20 settembre ad un’interrogazione parlamentare sull’argomento, il governo italiano invece, nel frattempo, attraverso l’ambigua formula di voler sostenere e potenziare la ricerca scientifica pubblica in materia agricola e biologica, sostiene che le NBT sono “tecniche avanzate di miglioramento genetico che, grazie alla sempre crescente disponibilità di informazioni a livello genomico delle diverse specie, si candidano a rivoluzionare in maniera decisiva il panorama delle strategie utilizzabili per il miglioramento genetico delle piante agrarie”. Per tale motivo ha stanziato ben 21 milioni di euro “per il finanziamento del più importante progetto di ricerca pubblica nel nostro Paese, nel cui contesto è previsto il miglioramento genetico attraverso l’uso di biotecnologie genetiche diverse da quelle utilizzate per gli OGM”. L'iter per sdoganare gli NBT nell'Unione europea è in corso: cambia la forma e la sigla, ma resta la sostanza.
LA DIRETTIVA UE
La Direttiva europea 2001/18 stabilisce che l’OGM è «un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale». Perciò devono essere autorizzati in seguito ad una valutazione di rischio ambientale e sono soggetti anche ad obblighi di tracciabilità, di etichettatura edi monitoraggio.
Condannati (ancora) al glifosato
L’onnipresente pesticida resta nell’UE. Si spera nel piano “Zero Glifosato” del Ministro Martina
Altri 5 anni di glifosato nell'Unione Europea, ha deciso la Commissione europea, nonostante il voto contrario di Italia, Francia, Belgio, Grecia, Ungheria, Cipro, Malta, Lussemburgo e Lettonia. È il diserbante più usato al mondo, trovato l'anno scorso nelle urine di 14 donne incinte a Roma, in un'analisi del mensile Il Salvagente. Su questo contaminante ha messo in guardia l'Istituto per la protezione ambientale, Ispra, nel suo dossier sui pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee italiane. È l'altra gamba che muove il settore Ogm, fatto di piante resistenti al glifosato, concentrando sempre più il potere in poche mani. Lo hanno inventato gli stessi che hanno “creato” mais e soia transgenici resistenti ad esso, mentre ammazza tutte le altre piante indesiderate. Per poter produrre cibo, questo il percorso in atto, bisogna rivolgersi a loro, unici detentori dei brevetti su quei semi che dopo il primo raccolto non danno più frutti. Un moderno meccanismo feudale che rende dipendenti, anche dal petrolio, alla base di certa chimica e nemico del clima. Tre gruppi ormai controllano il settore sementi, fertilizzanti, fitofarmaci e Ogm sul pianeta. Uno annovera, accanto agli inventori del glifosato, un colosso tedesco.
E guarda un po' il caso, proprio la Germania ha fatto rinnovare l'autorizzazione al glifosato in Europa con il favore del ministro dell'agricoltura Christian Schmidt in Commissione europea. Il quale è stato strigliato dal capo del governo: la cancelliera Merkel ha precisato che si è trattato di un voto contrario alla linea del governo di Berlino, che preferiva astenersi. Nel frattempo è spuntato l'accordo tra Cdu, il partito cristianodemocratico, e Spd, i socialdemocratici, per il divieto totale del glifosato in terra germanica. Prosegue la campagna #StopGlifosato sottoscritta da oltre un milione e 300mila cittadini europei, con 54 sodalizi italiani tra agricoltori, ambientalisti e non solo: dall'Associazione culturale pediatri, al Wwf e Greenpeace, Slow Food ed altre. Chiedono di vietare questo diserbante nell'UE. Non sono stati ascoltati. «La Commissione europea si è impegnata a proporre una nuova regolamentazione sull'autorizzazione dei princìpi attivi dei pesticidi, che si basi su studi scientifici indipendenti e non portati dalle stesse aziende produttrici. Non sappiamo che tipo di atto sarà e se sarà una proposta cogente o solo di indirizzo», spiega ad Acqua & Sapone la portavoce Maria Grazia Mammuccini. Ha fatto scalpore lo scandalo ‘Monsanto papers’: scienziati e ricercatori pagati dalla nota multinazionale degli Ogm e del glifosato per smentire l’Organizzazione mondiale della sanità che aveva classificato il diserbante come “probabile cancerogeno”.
Ma si può agire con la normativa nazionale. «Nostro impegno prioritario adesso - dice la dottoressa Mammuccini - è chiedere all'Italia di vietare il glifosato sul nostro territorio entro il 2020 , come ha proposto il Ministro dell'agricoltura Maurizio Martina».
A gennaio la Conferenza dei presidenti del Parlamento europeo ha deciso di proporre una Commissione di 30 esperti per valutare la procedura di autorizzazione dei pesticidi, anche «per analizzare le carenze del processo che ha portato al rinnovo dell'autorizzazione del glifosato», ha spiegato l’europarlamentare Marco Affronte.
E loro si prendono i semi buoni
Gli stessi produttori di semi transgenici, stanno mettendo meticolosamente da parte i semi naturali delle specie vegetali necessarie alla sopravvivenza dell'uomo, in un bunker sperduto nel Mare Glaciale Artico: la Svalbard Global Seed Vault. Sta nel cuore della montagna dell'isola di Spitzbergen, in Norvegia, al riparo da cambiamenti climatici, guerre atomiche e catastrofi, a circa 1.200 km dal Polo Nord. Lì hanno finora messo al sicuro oltre 4 milioni e mezzo di semi naturali, in collaborazione con la FAO.
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